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Il ponte di Morgana
Una strana immagine gli si presentava nella mente: un cielo basso, argenteo, quasi metallico che faceva scorgere appena, al di là della sua grigia trasparenza, un sole dalla luce velata e opaleggiante come una enorme pietra levigata che rimaneva sospesa, chissà come, lì sopra.
Al di sotto appuntiti vertici di montagne bianchi e venati di azzurro si stagliavano immobili nell'atmosfera e celavano, al di là di essi, qualche terribile mistero, da alcuni conosciuto, ma a nessuno svelato.
La tazza gli scivolò dalle mani e il suo contenuto bollente macchiò di scuro il tappeto.
" Accidenti !! " pensò " Che cosa mi è successo ? ".
Era rimasto a fissare il vetro della finestra per un intervallo indeterminato di tempo, con lo sguardo perso nel grigiore della nebbia. Ormai si era fatto tardi e doveva affrettarsi se voleva arrivare in tempo al suo appuntamento. Appoggiò la tazza sul tavolo, indossò velocemente il caldo cappotto nero e, dopo avere ravviato con un abituale gesto i capelli, uscì in strada.
La nebbia era assai fitta e non permetteva di vedere al di là di due metri: si mise a camminare di buon passo in direzione della porta Nord della città cercando di fare attenzione a non sbattere contro i pali dei lampioni (erano stranamente spenti) che sbucavano fuori all'improvviso dall'ovatta di vapore che avvolgeva ogni cosa. Qualcuno gli passò vicino e lo salutò frettolosamente sparendo poco dopo dietro do lui: si udirono i passi ancora per qualche secondo fino a che non furono coperti dal campannellio che annunciava l'arrivo del tram.
l canto di lontane voci femminili si accompagnava ritmicamente a quello di campanelle di sottile vetro azzurro (ma come faceva a conoscerne il colore se non le vedeva ?) e nello stesso momento i cavalli selvatici delle pianure iniziavano una strana danza facendo roteare la testa di mezzo giro in modo che le setose criniere ondeggiassero come le vesti velate delle celate incantatrici. Il sole bianco si lasciava inghiottire lentamente dal buio serale e calava dietro le gole profonde dei monti. Uno dei cavalli si staccò dal gruppo e di corsa si diresse verso di lui, che era rimasto lì, fermo, ad osservare la scena. Quando lo raggiunse gli passò accanto, senza vederlo, e fuggì lontano lasciando solo la scia di una leggera brezza che gli soffiò tra i capelli.
Si accorse all'improvviso che il tram gli era appena passato dinnanzi agli occhi e che ormai era impossibile aspettare il successivo poichè sarebbe arrivato in ritardo. Chiedendosi ancora, con una certa irritazione, come aveva fatto a rimanere come incantato, fermo nello stesso punto con lo sguardo perso nel vuoto, invece che affrettarsi verso la fermata del tram, si avviò di buon passo in direzione Nord : se non avesse perso ulteriore tempo sarebbe riuscito ad arrivare in orario, forse solo con un po' di affanno. I rumori della città accompagnavano i suoi passi veloci. Gli alberi del viale lasciavano cadere lentamente le foglie rosse e oro che si perdevano nelle nebbia per poi ricomparire prima di adagiarsi a terra. Doveva percorrere tutto il corso alberato, superare i Giardini Pubblici e l'antico Palazzo Comunale, passare accanto alla Zona Commerciale e giungere in fine al vecchio ponte di pietra che immetteva proprio alla porta settentrionale della città. Aveva compiuto altre volte quel percorso, in occasione di giornate di sole, e non aveva mai impiegato più di venti minuti. Però con il cielo basso e grigio che prometteva una imminente nevicata, era preferibile affidarsi al tram ed evitare così il freddo pungente del mattino invernale. Questo gli faceva tornare in mente ...
quella volta che aveva sfidato il vento gelido dei ghiacciai proibiti, la luce opalescente che riflettendosi sulla neve diveniva accecante, la solitudine dei giorni passati tra le vette di quei monti che separavano il conosciuto dall' ignoto, tentando di trovare il passaggio che gli avrebbe permesso di vedere cosa si celava dall'altra parte.
Ricordava l'aria gelida che filtrava attraverso il fustagno verde della sua giubba gonfiando il pesante mantello di pelle, il gelo insidioso che penetrava negli stivali e gli stringeva in una morsa spietata i piedi stanchi. Poteva ancora sentire il canto lontano e trillante che lo accompagnava senza mai cessare...
Qualcosa di gelido gli sfiorò le labbra. Sollevò lo sguardo verso l'alto e vide che aveva iniziato a nevicare. Ma chi era quell'uomo che per un breve attimo aveva visto (o rivisto?) nei suoi ricordi?
Anzi no. Non poteva essere quella una immagine proveniente dalla memoria di una vicenda reale. Mai si era allontanato dalla città e assolutamente mai aveva visitato luoghi come quelli che continuavano a presentarglisi nella mente. A volte la stanchezza faceva strani scherzi!
Pensò che se continuava a perdersi in quelle assurde fantasticherie non solo sarebbe giunto irrimediabilmente in ritardo, ma si sarebbe anche ammalato sotto la neve sempre più fitta e insistente.
Ormai si era lasciato alle spalle gli alberi spogli e neri, simili alle ombre di uno scenario teatrale, ed entrava nei Giardini Comunali: gli zampilli delle fontane erano stati interrotti perchè vi era il pericolo che l'acqua, tramutandosi in ghiaccio, spaccasse le tubature ed ora le statue delle dee e i mezzobusti di illustri personaggi iniziavano ad imbiancare e a perdere gradualmente i loro contorni.
In poco tempo terminò il percorso tra le aiuole, quasi invisibile, sorpassò lo scuro portone di legno intarsiato del palazzo del Comune e giunse agli estremi della città dove veniva organizzata, alla fine di ogni mese, una fiera dalle origini antichissime, famosa per essere frequentata dai mercanti di stoffe provenienti da ogni dove.
Quel giorno la grande piazza era deserta eccettuato qualche frettoloso passante che tentava di ripararsi dalla improvvisa nevicata. Le serrande dei negozi erano alzate solo per metà, alcune di esse completamente sbarrate, e tenui luci provenienti dalle finestre delle abitazioni indoravano la neve che placidamente scivolava verso il basso trasformando il piazzale in una morbida e candida coltre.
Si chiese stupito perchè i commercianti quel mattino non avessero come di consueto aperto le loro botteghe ( ma forse era giorno di festa e lui non se ne ricordava).
La città gli sembrava quasi assopita nel freddo di quella nebbia nevosa; e difatti quello strano torpore, quel senso di lentezza, quel silenzio che regnavano ovunque contrastavano fortemente col suo respiro affannoso e coi suoi passi veloci che lasciavano lievi ombre nere sulla strada bianca.
Finalmente potè vedere in lontananza l'arco elegante di pietre rosate che costituiva l'ingresso al ponte.
Sottili ed elaborate guglie gotiche decoravano l'arco conferendogli un sapore medioevale di monumento del passato. Infatti il ponte era stato costruito qualche secolo prima, anche se lui non sapeva con esattezza in quale epoca. Gli sembrò di ricordarlo non appena ne varcò la soglia.
Una sensazione di vertigini lo fece sussultare: gli pareva di avere appena messo piede sul ponte, ma, voltandosi, non potè più vederne l'ingresso. Dunque la nebbia era talmente fitta da non permettere di vedere al di là del proprio naso! Il familiare acciottolato di pietre tondeggianti era però distintamente presente sotto alle sue scarpe e rassicurandolo lo aiutò a vincere la tentazione di tornare indietro.
Proseguì lentamente, quasi a tentoni, cercando con le mani, ai lati, le sponde che non si riuscivano in nessun modo a scorgere. Continuò barcollante ancora per un lungo tratto. Ai lati, avanti e dietro la nebbia lo ingoiava: era come sospeso in una nube di vapore, privo di qualsiasi punto di riferimento.
Ormai era sicuro di arrivare in ritardo, ma pensò di potersi scusare mostrando, una volta giunto, i pantaloni bagnati e i cristalli di neve luccicanti tra i capelli; inoltre la fitta nebbia era giustificazione più che sufficiente.
Aveva percorso molti metri, ma l'arco di sbocco non si riusciva ancora a vedere. Le sue gambe si portavano avanti, una alla volta, cercando cautamente l'equilibrio. Cominciava ad avvertire una sensazione di freddo penetrante, non come lo aveva sentito fino a quel momento (il gelo dell'aria che gli paralizzava il naso), ma qualcosa di diverso, come una brina che gli si posava dentro e dalla quale nasceva panico, terrore... era la consapevolezza di essere solo sul ponte, solo come un bambino perdutosi in un labitinto; non vi erano rumori, nessun suono, nessuna presenza, solo il turbinio della neve che non cadeva più placidamente, ma mossa da un vento di tempesta, il vento forte che soffia sulle vette dei monti più alti e ulula furioso nei crepacci e tra i ghiacciai.
Con una parte remota della sua coscienza ammonì se stesso e si vergognò di provare paura a causa di quella che era solo una suggestione creata dal clima e dal fatto di trovarsi solo su un ponte sospeso nella nebbia.
Con un'altra parte di sè era però terrorizzato e allo stesso tempo attratto da ciò che avrebbe trovato dopo avere attraversato il ponte...
...al di là del ponte.
Senza pensare sollevò il braccio e tese la mano. Un alito caldo accarezzò la sua pelle e subito dopo avvertì un contatto umido e familiare. Si voltò dalla parte del braccio teso.
Non sapeva che cosa stava facendo e perchè lo stava facendo, ma allo stesso tempo era consapevole di agire secondo la sua volontà; o forse secondo la volontà di un altro (l'uomo che aveva visto?) che era lui stesso e contemporaneamente non lo era poichè apparteneva ad un altro tempo e ad un altro spazio.
Questi pensieri gli facevano girare la testa e nonostante ciò non fece alcuna fatica a salire sull'elegante cavallo grigio dal muso fumante che si era fermato al suo fianco.
"Sono pazzo o sto sognando?": spronò l'animale con forza e subito i dubbi, le paure e la sua coscienza di abitante di una grande città, abituato agli agi di una società consumistica e a prendere il tram ogni mattina, svanirono.
Finalmente vedeva se stesso: un uomo su un cavallo al galoppo che cercava, incoraggiato dal canto delle donne della pianura, il passaggio nascosto tra le nevi delle vette montane...
Sentiva distintamente il selciato di pietre sotto gli zoccoli del cavallo che lentamente si sgretolava, si tramutava in muschio odoroso, cadeva nel vuoto. Ma lui continuava ad andare avanti, gli occhi puntati verso il fondo della via che finalmente riusciva a vedere: il sole bianco dietro ad una punta di montagna e l'accecante bagliore di un viso dimenticato che lo guardava e che riconobbe subito.
Un velo di polvere venne spazzato via dai suoi ricordi, dai suoi veri ricordi e seppe di essere in fine arrivato...
Dall'altra parte della città qualcuno digitava ripetutamente un numero di telefono traendo respiri inquieti ad ogni squillo rimasto senza risposta.
I lunghi capelli sciolti sulle spalle ondeggiarono nervosamente quando lei sbattè di fretta la porta dell'ingresso e scese correndo le scale. Riuscì a non perdere l'ultimo tram di quel giorno: recava il numero sette e passava su un moderno ponte di ferro che, ormai da decenni, aveva sostituito quello vecchio, di pietra rosa, crollato al centro per un motivo che nessuno ricordava e mai più, in seguito, ricostruito.<
Morgana
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