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La viaggiatrice del tempo di Maria Mezzatesta
Parte I
Agnes Sadnej scese attraverso uno stretto e lungo corridoio buio.
Subito, la colpì la luce accecante del giorno e laria fresca e frizzante che si
respirava allesterno.
Era come ridestarsi da un incubo.
Prima, aveva attraversato luoghi oscuri e indefinibili simili a paludi nebbiose e
acquitrini maleodoranti, le era sembrato che il suo stesso corpo fosse disarticolato,
allungato a dismisura, smembrato da mostri orribili.
Viaggiare nel tempo, era proprio un disastro, pensò. Le riusciva difficile definire
razionalmente le sensazioni sgradevoli che aveva provato. Il dematerializzatore temporale
che trasformava i viaggiatori nei componenti ultimi della materia: i tachioni e li faceva
riemergere in un altro
tempo, era un congegno infernale (almeno lei lo aveva
vissuto). Non dava la sensazione dello "spostarsi" fisicamente in un altro luogo
ma unaltra di difficile definizione, come di ruotare su se stessi vorticosamente.
Come una stella morente che implode sempre più fino a formare un buco nero.
Il dematerializzatore tachionico sorgeva in un edificio centrale della città e la
aveva lasciata in un giorno luminoso e caldo di
cinquanta anni dopo. Doveva essere
primavera inoltrata o inizio estate, folate di brezza calda attraversavano una città che
stentò a riconoscere. Gli edifici intorno avevano forme inconsuete simili, a certi gusci
di tartaruga, altri sembravano fiori con lunghi steli. Diversi isolati più avanti
riconobbe invece le forme familiari delledificio centrale della posta e quello
massiccio e barocco della vecchia biblioteca nazionale. Mentre camminava per la città
incuriosita dalle novità, si sentiva euforica, contenta del "viaggio" che aveva
fatto. Ormai, i viaggi nel tempo, erano diventati una prassi abbastanza comune anche se
erano molto cari e pertanto limitati alle persone facoltose. A sua disposizione aveva
soltanto quarantotto ore di tempo, così prevedeva il contratto con lagenzia che li
gestiva e doveva presentarsi puntualissima al rientro, giacchè il "contatto"
con quella "epoca" veniva perso e non si sapeva come ripristinarlo.
Lei intendeva spendere bene quelle quarantotto ore a sua disposizione. Un uomo alto e
con un buffo vestito ampio e molto colorato la spinse e continuò a correre perdendosi tra
la folla.
-Che modi!- Imprecò Agnes. Ma luomo non la udì ormai lontano. Mentre camminava
notò che i marciapiedi erano piuttosto scomodi per via di un fitto pietrisco che li
ricopriva, e la gente indossava delle scarpe adatte, mentre ai lati, sulla carreggiata
"scorrevano" veicoli allungati come sigari che sembravano galleggiare
nellaria spostandosi per mezzo di magneti. Dopo aver percorso larteria
principale, si ritrovò ad est vicino allEbro, il grande fiume che attraversava la
città. In quella zona tutto sembrava uguale a prima. Le acque calme sfavillavano al sole,
solcate dalle imbarcazioni, cera il vocìo solito dei pescatori e il gorgogliare dei
motori, il grido di qualche uccello che svolazzava tra gli alberi e le vele.
Sullaltra sponda del fiume sintravedevano edifici anonimi ai piedi del
promontorio che si stagliava netto contro lazzurro del cielo e su cui si ergeva la
massiccia costruzione chiara nella quale aveva abitato, che era stata di proprietà della
sua famiglia da svariati anni. Ebbe un tuffo al cuore. Un pensiero le attraversò la
mente. Perché non provare ad andarvi? Sincamminò di gran lena attraversando
strette vie e faticando un po per raggiungerla. Quando fu a pochi metri, rimase a
guardarla meravigliata perché appariva uguale a come laveva lasciata, solo il
colore delle imposte era stato cambiato. Mille dubbi e paure affollavano la sua mente: vi
abitava ancora qualcuno dei suoi? Avrebbe aperto sua figlia invecchiata? O addirittura se
se stessa ancora in vita? Si ricordò delle varie raccomandazioni dellagenzia che
sconsigliava di cercare i propri discendenti, per le ovvie ragioni di conoscere
particolari sgraditi del futuro. Tutti i paradossi dei viaggi nel tempo le vennero in
mente paralizzandola per un attimo. Poi si decise a suonare il campanello. Trascorsero
diversi minuti che le apparvero interminabili. Il crac del cancello che si apriva la fece
sobbalzare. Entrò nel parco antistante, percorrendo la strada sterrata, delimitata dai
placidi platani che stormivano al vento, incredibilmente alti e irrobustiti dagli anni.
Sul patio la attendeva un uomo alto e anziano dal volto rugoso e compassato. Un grosso
naso aquilino e piccoli occhi neri e vividi gli davano unaria sospettosa.
luomo la squadrò a lungo prima di chiederle il nome. Con poche parole spiegò la
sua identità. Luomo non sembrò particolarmente sorpreso che proveniva dal passato.
La fece accomodare in un salotto moderno dai caldi toni color pastello e la pregò di
aspettare qualche minuto, poi si allontanò lentamente, scivolando silenziosamente come un
gatto, per un lungo corridoio che sbucava nellaltra ala delledificio in un
grande salone le cui ampie finestre si aprivano sulla campagna. Appena giunto, una porta
nera si aprì automaticamente e laria sprigionò il suono gradevole di un pianoforte
a coda, che una donna giovane e graziosa suonava in un angolo. Luomo le si avvicinò
e tossichiò imbarazzato.
Intanto nellultima stanza la pianista aveva ripreso a suonare e smise quando udì
il tonfo di un portone che si chiudeva. Si alzò e si affacciò alla finestra, da quella
posizione poteva scorgere laltra solo di spalle. Vide che indossava un vestito
turchese e aveva un passo elastico e capelli lunghi. Sembrava più giovane di quanto aveva
immaginato e mentre la vedeva allontanarsi pensò che finalmente il suo sogno stava per
avverarsi.
Parte II
Agnes lasciò la villa e sincamminò a piedi. Mentre proseguiva, pensava con
rammarico alla villa che sua figlia aveva venduto. Era difficile riuscire a darne una
spiegazione perché naturalmente non conosceva gli avvenimenti futuri. Natalia
laveva venduto per trasferirsi in una casa più comoda per lei, per ristrettezze
economiche o chissà perché altro? La villa era lemblema della loro famiglia,
apparteneva a loro da diverse generazioni e perciò era rimasta rattristata dalla notizia.
Unombra passò sul suo viso. Quali altri particolari brutti doveva conoscere? Se
lei, in qualche modo, fosse intervenuta negli avvenimenti, avrebbe potuto modificarli?
Cerano quindi più futuri? Si sentì confusa. Entrò in un bar per bere qualcosa.
Era un piccolo locale, angusto e gremito di gente. Sedette su una poltroncina plastificata
trasparente vicino ad una specie di nastro trasportatore su cui scorrevano le vivande.
Prese per sé un piccolo panino con salse di vario colore cui corrispondeva un sapore
diverso e un ingrediente diverso e una piccola bottiglietta dacqua. Non esisteva
più alcun contatto con i gestori, gli ordini si facevano tramite un piccolo computer
digitando un numero nello schermo.
Terminato lo spuntino, consultò lelenco dei residenti della città su un
computer più grande posto vicino lentrata. Una Natalia Sadnej abitava sul viale
antico, 7 strada, 20° punto. Doveva trattarsi di sua figlia. Uscì e proseguì ancora a
piedi. Impiegò circa unora per raggiungere la periferia della città, dove si
trovava il viale antico. Quando giunse notò che il paesaggio urbano era cambiato
completamente: un dedalo di strade si aprivano a raggiera, costeggiati da edifici
fatiscenti, anneriti dagli anni e dalle facciate scrostate. Le strade erano sporche e
pieni di rifiuti, i cassonetti stracolmi dimmondizia da cui si levava un tanfo
nauseabondo. I palazzoni squadrati, come enormi scatole di scarpe, erano così alti che,
nemmeno se si reclinava completamente il collo allindietro se ne riusciva a scorgere
la cima. I marciapiedi in quella zona erano semoventi, come quelli di certi aereoporti, si
spostavano lentamente e le poche persone che le percorrevano, per il più anziani,
sembrava girassero in una strana giostra priva di gioia e di grida di bimbi. La settima
strada era spaziosa e anonima, costeggiata ai due lati da alti platani che smorzavano il
sole, ombreggiando al via. Il 20° punto era una delle torri di 300 piani di vetro e
acciaio, un vero e proprio alveare dove abitavano migliaia di famiglie. Entrò nella
grandissima hall e prese uno dei tanti ascensori che vi aprivano per recarsi al 190° dove
abitava una Natalia Sadnej. Lascensore la lasciò in uno stretto e lungo corridoio
dove si aprivano una serie di porte plastificate tutte uguali. Ci mise un poco per trovare
quella che recava letichetta con quel nome. Si trovava in fondo a destra e
sulluscio non scorse nulla di particolare. Suonò al campanello e dopo qualche
minuto le aprì un giovane alto e robusto, fasciato in un completo attillato, nero che gli
stava stretto e che le soffiò sul viso una nuvola di fumo.
- Si?! Chiese con sufficienza.
Parte III
Agnes si alzò presto: Fuori era ancora buio ma lalba stava spuntando piano
piano. Osservava con curiosità il paesaggio che sintravedeva dal 190° piano. Si
udiva il sibilo del vento e il palazzo sembrava che ondeggiasse o forse era solo una sua
sensazione. Durante la notte non aveva dormito, si era svegliata parecchie volte in preda
agli incubi, madida di sudore e con la sensazione di essere inseguita da una donna vecchia
vestita di nero e con il volto ripugnante che si sovrapponeva a quello di sua figlia
Natalia.
Si rese conto di odiarla come odiava quella stanza come odiava quel puzzo di sporco e
alcool che si udiva. Pensò con sollievo che di lì a poco sarebbe andato via. Andò nel
piccolo bagno, si lavò e vestì, poi bussò alla porta della stanza dove dormiva la
figlia. Nessuno rispose. Entrò e accese la luce, notò che Natalia aveva gli occhi
aperti.
Quando scese giù nella hall scoppiò a piangere senza ritegno e quasi in trance
raggiunse il dematerializzatore, senza quasi rendersi conto della strada che aveva
percorso. Appena arrivata, una voce registrata e impersonale diceva di occupare posto
immediatamente allinterno. Mentre si avviava, con le lacrime agli occhi ripensava al
volto disperato di sua figlia e provava una grande pena. La voce registrata continuava
intanto a sollecitare i passeggeri ad occupare il posto. Mentre stava per imboccare lo
stretto e lungo corridoio, improvvisamente cambiò idea. Non poteva assolutamente
abbandonare sua figlia in quelle condizioni. Smise di piangere e rifece il percorso a
ritroso. Noleggiò unauto e in circa unora fu di nuovo nellappartamento
di Natalia. Qui suonò alla porta, ma nessuno rispose, continuò a bussare con ostinazione
ma senza risultato. Presa dallansia, bussò alle porte accanto ma nessuno rispose,
ad eccezione dellinquilino dirimpetto. Le aprì un uomo smilzo ed anziano. Gli
chiese della figlia. Luomo sembrò stupito. Affermò che lappartamento era
sfitto da anni e che nessuno vi abitava. Sorpresa e confusa ridiscese nella hall. Mille
domande affollavano la sua mente. Non sapeva cosa fare. Chiedere notizie alla polizia?
Ritornare al dematerializzatore? Ormai era tardi. Ritornò in centro e pensò di
rivolgersi al maggiordomo della villa sullEbro che era lunica persona che
conosceva e sicuramente le avrebbe potuto dare qualche informazione.
Ritornata alla villa, suonò il campanello e subito il pesante cancello in ferro si
aprì. Nel patio non vi era traccia del maggiordomo. Sintrodusse nella casa
percorrendo le svariate stanze silenziose e deserte, fino a quando non le sembrò di udire
il suono dolce di un pianoforte che qualcuno suonava nella camera più lontana. Qualcuno
evidentemente era in casa.
Entrò nella stanza con una certa apprensione. La camera era ampia e luminosa e in un
angolo, una donna piacente suonava una musica dolcissima. Si avvicinò, ma laltra
non smise di suonare, le rivolse uno sguardo malizioso.
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